Cenni Storici

Giovanni Michelotti, per una precisa scelta di vita ed un carattere tutto piemontese, non fu mai noto al di fuori di una stretta cerchia di addetti ai lavori e di entusiasti clienti. Al designer di oggi, e anche all'appassionato, giova forse ricordare che in un'epoca nemmeno tanto lonta­na nulla di tutto ciò che vedia­mo oggi esisteva: matite e tem­pere, talvolta neppure una riga; ecco tutto ciò che serviva per tracciare le forme di un'automo­bile, oltre, naturalmente, a tan­ta bravura.
Giovanni Michelotti nasce a Torino il 6 ottobre 1921, vi si spegne prematuramente il 23 gennaio 1980.
La passione per l'automobile, e un pizzico di fortuna, lo portano, nel 1937, agli Stabilimenti Farina, dove viene assunto come apprendista disegnatore; dopo solo un anno di attività è improvvisamente chiamato a sostituire il primo disegnatore, cui competeva l'one­re dei contatti con una esigentissima clientela.
Dopo la guerra, nel 1949, ten­ta, con successo, la strada del li­bero professionista creando lo Studio Tecnico Carrozzeria Giovanni Mi­chelotti.
Sino alla fine del 1960, quando si dota di una propria officina, Michelotti disegna vetture per tutti i più noti carrozzieri. Intensissima la collaborazione con la Carrozzeria Vignale, per cui rea­lizza alcune tra le più belle auto­mobili di cui si abbia memoria.
Una parte, senza dubbio consi­derevole, del mito Ferrari si ba­sa sulle prime vittorie alla Mille Miglia, in cui le barchette Ferrari-Vignale ebbero un peso non indifferente.
Erano i tempi in cui la carroz­zeria, con poche ma notevoli ec­cezioni era un fatto esclusiva­mente torinese.
Al salone del­l'Automobile di Torino del 1954 quaranta vetture esposte erano disegnate da Giovanni Michelot­ti, ma nessuna recava ufficialmente la sua firma.
Tra la fine degli anni Cinquan­ta e i primi anni Sessanta inizia­no i rapporti con le grandi case, soprattutto Standard Triumph e BMW e poi negli anni '60 Hino Motors e DAF.
Per quasi un ventennio lo stile di queste due case fu inte­ramente dovuto alla sua mano. Il nuovo design italiano delle vetture ebbe un peso notevole per la sopravvivenza stessa della BMW, a quei tempi in profonda crisi.
Da uomo aperto e privo di pregiudizi capì, già negli anni Cinquanta, che il mondo dell'automobile avrebbe avuto un ter­zo polo d'attrazione oltre ai due tradizionali: il Giappone. Di que­sto periodo è la collaborazione con Hino Motors e Prince, aprendo così la strada a una presenza, ancora oggi massiccia, del design italiano in questo Paese.
Nel frattempo, sulla scia della collaborazione con la Standard Triumph, iniziano i rapporti con la Leyland Bus & Truck Division per lo studio delle linee di nuovi veicoli industriali. Realizza tra l'altro lo studio per gli "Ergo Matic", primi camion al mondo ad avere una cabina progettata er­gonomicamente.
Uno dei grandi clienti, oggi si potrebbe dire sponsor, di Gio­vanni Michelotti fu Luigi Chinetti, importatore Ferrari per gli Stati Uniti; per lui e alcuni suoi clienti, realizzerà alcuni esemplari unici. Uno dei clienti di Chinetti era il proprietario di una cate­na di negozi di abbigliamento femminile, proprio per lui Michelotti disegnò una Ferrari, ambientandola nel mondo del futu­ro proprietario: davanti ad un suo negozio, con una splendida modella a fianco. Il tailleur sfoggiato dalla modella, disegnato anch'esso da Michelotti, fu pro­dotto in serie e contribuì non poco alla fama del commercian­te americano.
Dopo il 1960, continuando a contribuire allo styling delle più grandi case mondiali, italiane comprese, vengono presentati, a scadenze ravvicinatissime, moltissimi prototipi. Ricordiamo una O.S.C.A. la cui forma del tet­to non piacque affatto ai gior­nalisti e agli esperti dell'epoca, più tardi verrà battezzato "pa­goda"... la Mercedes prese spunto per la sua coupé.
Del 1974 è la Lancia Beta Mizar, una berlina con quattro porte ad ali di gabbiano, che abbina a una linea modernissima il motivo del classico scudetto Lancia. Nel corso della sua vita, purtroppo troppo breve, Giovanni ­Michelotti disegnò migliaia di automobili, di cui, oltre 1200 vennero prodotte. Negli anni cinquanta gli venne offerta la direzione del Centro Stile Gene­ral Motors, ma egli rifiutò. Oggi nessuno può dire se ciò sia sta­to un bene o un male. Di sicuro le automobili americane, tutte, sarebbero state molto diverse.

Chi scrive questo ricordo è suo figlio Edgardo, che ha condiviso con lui gli ultimi dieci anni di entusiasmante lavoro e gli è stato vicino sempre e che trae ancor oggi insegnamento dall'esempio avuto da un padre esemplare.


foto: Giovanni Michelotti nel suo studio di Corso Francia 35 a Torino negli anni '50